Tabaccaio risarcisce per il ladro ucciso, il vescovo: "Se fosse rimasto a casa nessuno gli avrebbe fatto niente"
Il vescovo di Chioggia Tessarollo difende l'uomo che uccise un ventenne trovato a rubare. "Come faranno a pagare 325 mila euro?"
di Antonella Loi – Twitter: @an_loi
“La famiglia derubata interviene per impedire che rubino e poi si trova a dover pagare 325 mila euro alla famiglia del ladro. La logica è semplice”. La logica per la quale monsignor Adriano Tessarollo è oggi sulle pagine di molti giornali. “Quello che non è riuscito a rubare il ladro glielo ha tolto il giudice”, prova a spiegare il vescovo di Chioggia. Per capire meglio il riferimento alla distinzione tra la giustizia divina e quella dell’uomo, bisogna tornare al mese scorso, quando Franco Birolo, tabaccaio di Civè, viene condannato a due anni e otto mesi (che non sconterà in carcere) e al risarcimento di 325 mila euro alla famiglia di Igor Ursu, ucciso mentre durante la notte, insieme ad un complice, era intento a rubare. A sparare con una pistola è stato proprio Birolo, ex paracadutista e titolare del negozio. Il quale, secondo il tribunale di Padova che ha emesso la sentenza, “non ha mostrato ravvedimento” oltre al fatto che “non ricorrono i presupposti della legittima difesa”. Il giovane ucciso era moldavo, aveva solo vent’anni ed era disarmato. “Sì, però se stava a casa sua nessuno gli faceva niente”, dice il vescovo.
Ci spieghi meglio questa sua riflessione.
“La mia valutazione parte da un fatto: la vita non è soltanto fisica, ma è anche una serie di elementi per vivere serenamente. Se a lei togliessero tutto e non fosse sicura nella professione, nel lavoro, nella famiglia, a casa sua e deve essere sempre in ansia e mettere le telecamere… voglio dire che si tiene conto anche di questo o no? Altrimenti si dica: va bene voi rubate serenamente, nessuno vi tocca perché la famiglia non sarà mai risarcita. Voglio raccontare un aneddoto”.
Dica.
“La settimana scorsa è entrato da un prete di ottant’anni uno con un coltello. Lui non si è difeso, il ladro non gli ha fatto niente ma si è portato via la macchina che ha lasciato senza benzina in strada. Poi, siccome c'era nebbia, un'altra macchina le è andata addosso distruggendola. A questo anziano sacerdote nessuno riconosce niente: chi ha preso ha preso chi ha avuto ha avuto”.
Se il prete avesse avuto una pistola avrebbe dovuto usarla?
“Se fossi stato io un pugno in faccia glielo avrei dato. Perché se uno si sente minacciato… allora: il giudice è seduto in tribunale, lei fa la giornalista, io faccio il vescovo, siamo tranquilli. Ma se ci si trova improvvisamente in quella situazione non è mica detto come uno reagisce. E non è detto che parta con l'idea di essere un pistolero e di ammazzare”.
Quindi se uno ha una pistola…
“A mente fredda è chiaro che uno dice ‘non si dovrebbe’, ma quando capita… insomma, quel tale là era mezzo sciancato. Così lo ha respinto, buttato fuori e buonanotte a Dio. Voglio dire: io non sono mica qui a dire che è giusto che si usi la pistola, ho solo detto che in un giudizio uno deve tenere conto sia di una parte che dell'altra”.
Lei conosce il tabaccaio?
“Sì e non è mica un pistolero. Dico che si tenga conto anche della questione psicologica prima di attribuirgli tutte quante le colpe e le responsabilità”.
Il giudice ha detto: eccesso di legittima difesa. Cioè, sparare e uccidere in quel caso è stata una reazione sproporzionata.
“Sparare non è mai giusto. Però voglio dire: il giudice dice che c'è stato un eccesso. Bisognerebbe dire: non si dà l'arma a nessuno e si finisce. Però così si dice ai ladri: tranquilli perché nessuno vi farà del male. L'altro giorno uno ha saltato il recinto di una casa per rubare, un cane lo morde e lui, il ladro, denuncia il padrone perché il cane lo ha morso. Ma si rende conto?”
Questa sua riflessione è coerente con il messaggio cristiano?
“Sì è coerente. Ma io ho parlato di una sentenza di legge, ho commentato l'applicazione di una legge dello Stato. Perché sennò significa che le leggi noi le facciamo con il Vangelo, con la Bibbia o il Corano in mano”.
Lei si occupa anche di attività sociali, non pensa che dietro questi fatti ci siano spesso situazioni di profondo disagio?
“Ma allora cosa dobbiamo dire: facciano quello che vogliono? Io mi occupo molto delle persone disagiate. Ma è come dire che siccome c'è il disagio sociale allora uno è autorizzato a fare tutto, benissimo. Io non ho detto che ha fatto bene ma piuttosto che il giudice tenga conto che per una famiglia che è stata aggredita e che per una reazione, forse non a mente fredda, 325 mila euro vuol dire mille euro al mese per 27 anni. Se i soldi non ce li ho come faccio?”
Quanto vale allora la vita di un ragazzo?
“Non si calcola economicamente la vita, perché deve essere risarcita la vita a lui che è morto? A chi deve essere risarcita la vita? Pensiamo all'altra famiglia che fisicamente sono vivi ma ora cosa faranno? Se uno mette in gioco la vita per rubare, se la perde la perde. Non si deve risarcire niente a nessuno. E poi non ha neanche figli”.
Avrà avuto genitori o fratelli, era piuttosto giovane.
“Ho capito ma allora se uno mette a rischio la famiglia e se la cosa non gli va bene bisogna che il giudice attribuisca e dica ai suoi genitori: bene con la sua ruberia comunque vi ha portato a casa 325 mila euro. Bene. Ragioniamoci, dico, non facciamo sempre i soliti discorsi scontati”.
La giudice che ha emesso la sentenza è stata messa sotto tutela perché ha ricevuto minacce. Lei è un vescovo, non c'è il rischio di alimentare violenza?
“Voi non vi rendete conto di come vive questa gente qua. Non dite che la violenza la alimenta chi ci ragiona, la alimenta chi ha questa ideologia, che comunque vuol dire 'incoraggiate, rubate pure'. In Italia siete assicurati, la giustizia vi garantisce che nessuno deve toccarvi: portate via pure, gli altri mani in tasca guardando il cielo. Quando sei derubato o in pericolo nessuno ti dà niente. La giudice tranquilla e serena sotto scorta. Loro ne hanno uno a testa per proteggersi e la gente invece deve star là a prenderle di santa ragione”.
10 febbraio 2016