Roma, 04 ottobre 2022
AL SIGNOR CAPO DELLA POLIZIA
Direttore Generale della Pubblica Sicurezza
Prefetto Lamberto Giannini
OGGETTO: Richiesta di urgente intervento per i fatti gravissimi occorsi presso la Questura di Treviso.
Preg.mo Signor Capo della Polizia,
l’ingresso delle donne in Polizia, il 7 dicembre 1959, ha costituito per la nostra Amministrazione l’acquisizione di un importante valore aggiunto, ovvero quella capacità di saper affrontare al meglio le infinite sfaccettature della nostra professione.
In questi 63 anni l’Amministrazione si è realmente impegnata a celebrare tale avvenimento attraverso numerosi momenti elogiativi, tutti volti a sottolineare quanto tale presenza rappresenti, sempre di più, un valore aggiunto.
Nel continuare a percorrere questa strada è indispensabile, tuttavia, non svuotare questi fondamentali concetti dai reali contenuti che ad essi devono essere attribuiti.
I fatti recentemente avvenuti a Treviso, infatti, portano a dubitare degli effettivi risultati di quell’investimento massiccio nella formazione del personale che l’Amministrazione ha posto in essere.
Lo scorso 22 aprile un dirigente in servizio presso la citata Questura relazionava al Questore in merito ad un presunto comportamento inopportuno asseritamente posto in essere da una collega alle sue dipendenze convocata dal medesimo nel suo ufficio per chiedere conto di una presunta affermazione rivolta ad un addetto all’Ufficio Servizi.
Secondo le attestazioni riportate dal dirigente – a seguito delle quali la collega ha poi riportato conseguenze disciplinari – l’operatrice di polizia si sarebbe distinta «in un crescendo di stizza», «in una rabbia scomposta», in una «condotta, arrivata praticamente all’ingiuria di un suo superiore» e avrebbe posto in essere azioni «con il plateale intento di mettermi in un qualche imbarazzo».
Chiaramente il Questore si è trovato nella condizione di dover avviare un procedimento disciplinare nel contesto del quale a nulla sono valse le precise, puntuali e circostanziate giustificazioni dell’incolpata che, all’esito del medesimo, veniva sanzionata con il richiamo orale.
La realtà fattuale, purtroppo, è totalmente divergente da quella in atti. In effetti è stata la nostra collega ad essere stata umiliata prima come donna e poi come dipendente, non sussistendo alcun dubbio sul fatto che il genere femminile sia stato determinate nel formare il convincimento del predetto funzionario a poter agire in tale modo, assumendo un comportamento ben distante dai principi posti a fondamento della nostra Amministrazione.
Ciò che è avvenuto è stato puntualmente descritto dalla collega nelle proprie giustificazioni, nulla di quanto era stata accusata si era verificato.
E proprio il citato funzionario nel colloquio a mostrare «un crescendo di stizza», «una rabbia scomposta», «il plateale intento di metterla in un qualche imbarazzo», ordinandole più volte di non effettuare “deduzioni non autorizzate”, con l’intento evidente di comprimere persino il diritto alla difesa e quello ad un minimo di contraddittorio.
Lo stesso concetto racchiuso dietro ad un’affermazione simile (deduzione non autorizzata) fa rabbrividire.
La posizione della collega, in un ordinario contesto operativo, sarebbe stata indifendibile, è inutile negarlo. Piaccia o meno, nessuno, come di fatto è avvenuto, avrebbe dato credito alle memorie difensive della collega.
“Sfortunatamente” esistevano precedenti circostanze nelle quali tali atteggiamenti inopportuni e inutilmente autoritari avevano già avuto modo di verificarsi, tanto da influire nel convincimento della collega a doversi necessariamente tutelare come di fatto è avvenuto. La stessa, infatti, ha provveduto a registrare l’intera conversazione intercorsa con il dirigente, comunque auspicando di non averne dovuto far uso a sua difesa, ritenendo che il ruolo del dirigente gli avrebbe impedito di riportare fatti diversi dal vero.
Tale auspicio, tuttavia, è stato totalmente disatteso.
Non solo la stessa ha subito un ingiusto procedimento disciplinare, ma, per ciò che più conta, è stata sanzionata per una condotta che non ha tenuto proprio sulla base di attestazioni rese da chi, per dovere deontologico e giuridico, avrebbe dovuto agire in modo imparziale.
Ebbene, tale nostra collega ha deciso di non tacere, di non subire, di non accettare la prepotenza cui era stata sottoposta ed in un ricorso gerarchico avverso la sanzione subita, a Lei indirizzato, ha unito la registrazione integrale della conversazione in argomento ascoltando la quale la S.V potrà verificare l’assoluta attinenza al vero delle giustificazioni prodotte, misurare i toni utilizzati nella conversazione, giudicare senza impedimenti la dinamica di svolgimento dei fatti, valutare l’umiliazione e la minaccia di subire un procedimento disciplinare (il cui avvio non rientrava nelle competenze del funzionario).
Per ciò che più conta, la S.V. potrà appurare quanto la relazione del dirigente in argomento sia stata redatta con la precisa intenzione di avviare un procedimento disciplinare e di punire ingiustamente la nostra collega per fatti mai avvenuti, perfezionando una condotta tanto grave da essere suscettibile di valutazioni nell’ambito della fattispecie normativa sanzionata dall’art. 479 c.p.
Siamo certi che da parte Sua, non vi sarà alcuna svalutazione della gravità dei suddetti fatti e che il Suo intervento risulterà determinante e risolutivo al fine di impedire che tali circostanze possano ripetersi.
In attesa di cortese riscontro, si inviano i più cordiali saluti.
Con sincera e profonda stima,
Il Segretario Generale del COISP
Domenico Pianese