Soppressione delle Squadre Nautiche, il COISP scrive al Sottosegretario agli Interni

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Roma, 26 marzo 2019

SIGNOR SOTTOSEGRETARIO DI STATO AL MINISTERO DELL’INTERNO
ON.LE NICOLA MOLTENI

OGGETTO: Soppressione delle Squadre Nautiche in applicazione dell’art.4 del D.Lgs. 177
del 19 agosto 2016 – La legge dice tutt’altra cosa di ciò che si è voluto intendere.

Preg.mo Signor Sottosegretario,
in data 21.12.2016, l’allora Direttore Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali del Dipartimento della P.S., dettò direttive in merito alla “soppressione delle Squadre Nautiche e servizio di vigilanza con moto d’acqua”.
Con tale missiva il predetto, dopo aver richiamato la “delega prevista dalla legge 7 agosto 2015 n. 124 (c.d. legge Madia) per la razionalizzazione delle funzioni di polizia” nonché “il decreto legislativo 19 agosto 2016 n. 177 con il quale è stato disposto il passaggio delle funzioni di sicurezza in mare alla Guardia di Finanza (art. 2) e la conseguente chiusura delle squadre nautiche della Polizia di Stato … fatto salvo il mantenimento delle moto d’acqua per la vigilanza dei litorali e delle unità navali impiegate nella laguna di Venezia, nelle acque interne e nelle isole minori (art. 4)”, aveva inteso evidenziare gli “interventi organizzativi” che l’Amministrazione della P.S. avrebbe adottato “in vista dell’emanazione
di un apposito decreto che stabilisca, tra l’altro, la data di effettiva chiusura delle squadre nautiche”.
Il COISP, con più e costanti interventi, ha sempre contestato la citata soppressione, invitando a trovare soluzioni per non eliminare del tutto il Settore Nautico della Polizia di Stato, così da non far venir meno, in considerazione anche dell’attuale momento storico, quelle competenze umane e tecniche del personale delle Squadre Nautiche specie alle Questure che sorgono su aree marittime di grande rilevanza, luoghi di interesse turistico e portuale che potrebbero essere in qualsiasi momento oggetto di attacchi terroristi.
Tale nostra ferma disapprovazione ha peraltro trovato, Preg.mo Signor Sottosegretario, la Sua piena condivisione tant’è che Lei si è immediatamente attivato per sospendere detta soppressione.
Alla Preg.ma S.V., quindi, ci rivolgiamo nuovamente per rappresentare in maniera compiuta la situazione attuale dell’applicazione di una legge che qualcuno ha chiaramente voluto intendere in maniera diversa da ciò che la stessa afferma … e lo facciamo ponendo alla Sua cortese attenzione alcune riflessioni.
È certamente necessario che si faccia chiarezza su cosa intenda veramente la Legge per “acque interne” ma ancor prima è opportuno fare una premessa.
La Polizia di Stato è l’unica istituzione dello Stato investita dei pieni poteri per lo svolgimento dei servizi di Polizia Giudiziaria e di Ordine Pubblico in mare perché le sono stati attribuiti dalla legge 121 del 1° aprile 1981, diversamente dagli organi militari quali la Guardia di Finanza o la Guardia Costiera ai quali sono state assegnate prioritariamente altre funzioni. È di tutta evidenza, quindi, che l’applicazione della Legge Madia contrasta con la suddetta legge 121, trasferendo tutte le funzioni e le competenze di Polizia in mare alla Guardia di Finanza, sciogliendo le Squadre Nautiche della Polizia di Stato (art. 2 della legge madia), mantenendo però operativi i servizi di pattugliamento delle coste
utilizzando solamente gli acquascooter (art. 4 della legge madia), per cui se la Polizia perde le competenze di operatività in mare, a quale titolo può pattugliare le coste se a questo sono preposti altri organi Statali?
Per di più, è evidente che con le sole moto d’acqua non si possa procedere ad un arresto
o ad un soccorso in mare senza un’imbarcazione di appoggio. Discutibile anche il fatto che un poliziotto, che non sia in possesso della competenza in mare in ragione di sicurezza e ordine pubblico, debba vigilare a bordo di uno scooter d’acqua e procedere (non si sa a quale titolo) in caso di necessità, per poi giustificarsi e rapportarsi con un organo a cui non appartiene.
Andiamo adesso alla questione delle “acque interne”…
Nel diritto internazionale, le “acque interne” sono i fiumi, i laghi e la porzione di mare interna alla linea di base. Al pari delle altre zone del mare, le regole e la disciplina delle “acque interne” sono dettate dalla Convenzione di Montego Bay, del 1982, ratificata anche dall’Italia e tuttora in vigore, la quale stabilisce che il c.d. mare territoriale è una fascia di mare costiero equiparata al territorio dello stato e quindi sottoposta all’esclusivo controllo di potere dello stesso al pari della terra ferma. La sovranità esercitata sulla
costa implica la sovranità sul mare territoriale.
L’articolo 2 della Convenzione di Montego Bay stabilisce che la sovranità dello Stato si estende al di là del suo territorio e delle sue “acque interne” a una zona di mare adiacente alle coste denominata appunto mare territoriale. Quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 3 della stessa Convenzione, può estendersi fino ad un massimo di 12 miglia dalla costa.
La base di misurazione del mare territoriale è data dalla linea di bassa marea, e si segna seguendo le sinuosità delle coste congiungendo i punti sporgenti di questa o, se vi sono isole o scogli in prossimità della costa, congiungendo le estremità, o ancora, in presenza di caratteristiche naturali che rendano la costa instabile, unendo i punti più avanzati. Le acque situate all’interno della linea vengono definite “acque interne”.
Esempio:

Le “acque interne” marittime italiane si estendono tra la costa e le linee di base del mare territoriale ed hanno una superficie di 39.339 chilometri quadrati. Lo status legale delle “acque interne” è caratterizzato dal completo e incondizionato esercizio della sovranità dello Stato costiero, al pari di quanto avviene nell’ambito dei suoi confini terrestri.
In virtù di quanto appena descritto nel trattato di Montego Bay, ratificato – è necessario ribadirlo – dallo Stato Italiano, il tratto di mare che, ad esempio, comprende l’intero arcipelago Toscano si trova in “acque interne”, quindi Livorno ha le “acque interne” e ciò può essere anche dimostrato dalle carte nautiche, tra le quali quelle, che seguono, dell’Autorità Portuale di tale città.

Al pari di Livorno sono gli altri comuni su cui insistono le Squadre Nautiche che si è preteso di abolire.

Con il termine “acque interne” queste zone di mare vengono considerate allo stesso modo della terraferma e quindi diviene estremamente facile capire che tutta l’attività di Polizia DEVE, per legge (anche secondo la stessa c.d. legge Madia, il cui art. 4 – come detto – fa “salvo il mantenimento delle moto d’acqua per la vigilanza dei litorali e delle unità navali impiegate nella laguna di Venezia, nelle acque interne e nelle isole minori”), essere espletata dalla Polizia di Stato, e che tale attività, anche nelle “acque interne”, non può essere delegata ad altri organi che non possiedono lo status giuridico per sostituire
l’Amministrazione di P.S.. Si crea il netto e assurdo contrasto tra attività di Polizia “a terra” e attività di Polizia “a mare”, quest’ultima svolta da personale che non è investito dalle funzioni necessarie per procedere in tal senso.
Anche volendo interpretare – ma ciò non si dovrebbe fare – la legge Madia in maniera diversa da ciò che letteralmente la stessa afferma (lo si ripete ancora: la predetta fa “salvo il mantenimento delle moto d’acqua per la vigilanza dei litorali e delle unità navali impiegate nella laguna di Venezia, nelle acque interne e nelle isole minori”), la stessa entrerebbe in palese contrasto con la legge 121 del 1981 creando la confusione organizzativa più totale in quanto le attività che venivano svolte dalle Squadre Nautiche
dovranno essere coordinate tra le Istituzioni che rimarranno ma compatibilmente con quelle attività che prioritariamente sono attribuite dalla legge 121 appena citata agli apparati dell’Amministrazione della P.S..
Ciò significa che il controllo del territorio, l’attività di ordine pubblico e le funzioni di polizia giudiziaria vengono messe in secondo piano rispetto alle attività svolte prioritariamente dalle altre Istituzioni quali Guardia di Finanza e Capitanerie di Porto, pur rimanendo la responsabilità della sicurezza pubblica di competenza dei Prefetti e Questori.
Appurato il fatto che le “acque interne” sono da considerarsi TERRITORIO, il dispositivo nautico della Polizia di Stato assume peraltro una valenza ancora più grande non solo negli interventi propri di una “volante del mare”, ma perché potrebbe, anzi dovrebbe, fornire un fondamentale supporto logistico ad esempio alle Unità Operative di Primo Intervento (U.O.P.I), le quali non potrebbero intervenire in ambiente marittimo non disponendo di mezzi nautici, non potendo inoltre, per legge, avvalersi di uomini e mezzi nautici appartenenti ad altre amministrazioni .
In conclusione, Preg.mo Signor Sottosegretario, con questo nostro intervento chiediamo ed
auspichiamo che da parte della S.V., cui riconosciamo attenzione e capacità che in passato sono mancate, possa esserci una giusta valutazione sulla opportunità di fare definitivamente salve le Squadre Nautiche della Polizia di Stato operanti in quelle acque interne disciplinate dal trattato di Montego Bay.
Le Squadre Nautiche ubicate in quelle zone ove l’estensione delle “acque interne” è considerevole non possono essere chiuse ma anzi potenziate, in modo da disporre di un valido strumento d’intervento per la gestione e la garanzia dell’ordine e della sicurezza pubblica nel nostro Paese.

Con profonda stima.

Il Segretario Generale del COISP
Domenico Pianese

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