– Giovà, svegliati!
– Che c'è Paolo, stavo riposando, manco qua sopra in santa pace posso stare.
– Amunì svegliati che ti devo dire una cosa!
– Sveglio sono, che cosa c'è?
– Ti ricordi quando ti dissi che tra le teste di minchia eri il più testa di minchia di tutti?
– E come dimenticarlo, e quindi? Mi hai svegliato per questo?
– No. Ti devo dire una cosa.
– Dimmi.
– In questi anni qui sopra siamo stati in silenzio, abbiamo guardato dall'alto andare allo sfacelo il lavoro per cui abbiamo dato la vita.
– Eh…
– Poi però ci siamo ricreduti. Abbiamo visto nascere nella gente una coscienza nuova. Le persone si sono rotte le palle della mafia, dei mafiosi. Chi c'era ai tempi nostri si è rotto le scatole e ne è stato alla larga e chi, invece, era troppo giovane, ha vissuto nel ricordo di un male incurabile che ha macchiato il nome della Sicilia, ma consapevole che la mafia, quella che abbiamo conosciuto noi, non c'era più. E così è stato bello vedere tutti quanti gioire per noi, nel nostro ricordo. Musica, carri, manifesti.
– Miii troppo bello. Per non parlare di tutte le persone importanti che ci hanno tenuto davvero a salire sui palchi e a parlare di noi… E quindi? Mi vuoi dire che hanno organizzato un'altra festa? Perché sono stanco per vederla ora, però m'arruspigghio se necessario.
– No Giová. Volevo dirti che per anni hai creduto di aver lasciato abbastanza, di aver dimostrato che, alla fine, siamo noi che abbiamo vinto, che anche se eri stato un testa di minchia, ne era valsa la pena. Oggi ti dico: siamo due teste di minchia. Due.
– Perché?
– Perché siamo morti tra le macerie di una società che ci ha massacrato e che ora, a meno di un mese dal giorno della tua morte, afferma che Riina, mischinieddu, merita una morte dignitosa.
– Ah… Capisco. Comunque mi siddió… Spegni la luce per favore.
– Ok Giová.
– Pà… Ma secondo te dopo il Paradiso c'è altro?
– Non lo so… Perché?
– Perché oggi credo di essere morto per la seconda volta.
(ANONIMO)